E' difficile tenere aggiornate le statistiche di apertura delle nuove attività in quello che sino a dieci anni fa era considerato un quartiere pericoloso, difficile e da evitare. Oggi brulica di iniziative artistiche, ristoranti centro americani, centri di preghiera di sei religioni diverse, librerie sadomaso e mostre d'arte di strada. Oggi tutti vogliono vivere e fare qualcosa a San Salvario.

Dietro le stazioni ferroviarie delle Grandi Città non si è mai riusciti ad attivare un circolo virtuoso di qualità di vita ma le città non sono più quelle di un tempo ed oggi anche un muro scrostato o due tavolini con sopra tre birre fuori frigo fanno arte, tendenza, incontro e divertimento.

Ho viaggiato pochissimo nel mondo ma l'idea che mi sono fatto leggendo reportage da paesi lontani o dalle megalopoli, è che questo stile londinese di immaginare il futuro dormendo poche ore per notte divertendosi nei locali low cost alla moda è un'attività residuale di altre piu importanti attività produttive, finanziarie industriali ed intellettuali.

A Torino invece si pensa solo più a installare orti sui tetti di ex fabbricati, ascoltare musica afro, mangiare etnico..., ma di lavorare non se ne parla mai. Va bene che il lavoro non c'è più ma a parte chi gestisce queste attività commerciali dandosi anche da fare con sacrificio, mi domando come le migliaia di clienti che affollano questi locali e vanno a dormire alle 6 del mattino (quindi non lavorano) possano permettersi queste stravaganze mentali che li fanno sentire tanto all'avanguardia.

Mentre le menti chiuse e deformate aspettano l'accordo sull'articolo 18, appese al paracadute sempre aperto della cassa integrazione che garantisce ancora una birra e due tacos, Torino affonda tra gli applausi e le maracas di Belo Horizonte.