La politica è morta. Viva il marketing !

Ieri più di tre milioni di Italiani si sono messi in coda prima della messa e dopo la partita di calcio per partecipare all'evento più idiota che uno schieramento politico possa porre in atto per decretare l'incapacità dei suoi dirigenti.

Certo, sei milioni di euro o forse anche di più fanno gola alle tasche svuotate di un partito che si accinge ad affrontare una coraggiosa campagna elettorale nella primavera 2013, perchè si tratta di avere davvero coraggio a presentare alla presidenza del Consiglio dei Ministri una faccia da burattino come quella di Pier Luigi Bersani che come decine di altri parlamentari idioti come lui non ha fatto nulla in questi anni per salvare il suo Paese dallo stato in cui si trova oggi.

Ciò nonostante la gente risponde e paga e adesso per una settimana si masturberà il cervello pensando chi votare in un ballottaggio : eh si perchè un turno non bastava a far capire che Renzi Fonzie ha dovuto cedere alla gerontocrazia comunista di Massimo D'Alema e di Rosi Bindi, gentaglia da avanspettacolo imprestata alla politica, con il benestare del voto democratico dell'italia ex comunista che pensa ancora di poter essere rappresentata da questi disonesti.

Un vero partito deve avere la forza, la chiarezza e l'autonomia finanziaria (non sono necessari milioni per le campagne elettorali, bastano facce presentabili e teste pensanti con idee decisive) per presentare un candidato solo, candiviso dalla base elettorale perchè persona della quali TUTTI  si devono fidare.

La peggior cosa è che il sistema informativo che si crogiola in questo brodo di notizie inutili perchè altro da scrivere non ha e non vuole scrivere, semina il concetto di elezioni primarie come strumento di democrazia e di confronto quando altro non sono se non una neppure troppo flebile iniezione di capitali freschi per continuare a fare esattamente quello che questi senza-mestiere hanno sempre fatto.Cambiare tutto per non cambiare niente.

Mauro Anetrini ha fondato il "partito dei crin" e qui esprime uno dei suoi modelli di democrazia

Mi piacciono. I dirigenti del Pd mi piacciono. Oddio..., non da andarci pazzo, ma mi piacciono.

Mi piacciono, ad esempio, quando dicono che, senza il rimborso elettorale o altra forma di sostegno pubblico ai partiti, in questo Paese potrebbero fare politica soltanto i ricchi.

Mi piacciono, anche, quando assumono un atteggiamento critico verso il Governo che hanno voluto e salvato in almeno 10 occasioni.

Ma, soprattutto, mi piacciono quando - memori, evidentemente, del piano "Solo" - evocano sinistre immagini per stigmatizzare la quota percentuale raggiunta la quale dovrebbe assegnarsi il premio di maggioranza: 40 va bene; 42,5 no.

Sono spettacolari, non c'è che dire. Approfittano della pochezza degli avversari per riaffermare ciò che sono sempre stati: una forza di opposizione incapace di trasformarsi, sempre uguale a se stessa, come il linguaggio che usa.

Il fatto è, purtroppo, che, anche dall'altra parte, non si fanno mancare nulla: Alfano crede davvero di essere il segretario politico di un partito; la Santanchè pensa addirittura di esistere e quindi parla. Il Grande Comunicatore, invece, viaggia. Bontà sua: lo avesse fatto prima, staremmo meglio.

Faranno le primarie anche loro: come, non si sa, ma le faranno. Salvo, poi, disattendere il risultato se non piacerà.

Dunque, nessuna riforma della legge elettorale, del finanziamento ei partiti e del resto che incombe. Nessuna riforma, insomma.

Sulla legge elettorale, noi crin una possizione ce l'abbiamo. Non piacerà, perchè è scomoda e non garantisce nulla a nessuno, fatta eccezione per il fatto che sono i cittadini a decidere che vince.

Il maggioritario all'inglese: uno contro uno, senza rete, senza soldi e senza ripescaggi come al mondiale di calcio.

Come fanno i nostri amici inglesi, che di democrazia ne sanno qualcosa.

Uno contro uno: vince il migliore, non l'amico degli amici. E, ovviamente, honny soit qui mal y pense.

 

Gianni Agnelli tiene tra le dita una sigaretta nel ritratto di Andy Warhol.

Era la Torino di una volta, fucina di idee e di sacrificio, di orgoglio, di fabbrica e di immigrazione. Ma non era solo fatica e nebbia ma soprattutto costruzione di ricchezza economica e di nobiltà interiore.

Francesco Faà di Bruno, Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso, Alessandro Antonelli, Francesco Garnier Valletti, Francesco Cirio, Vincenzo Lancia, la signorina Lenci, Marcel Bich, Riccardo Gualino, Guido Gozzano, Piero Gobetti, Felice Casorati, Carlo Levi, Mario Soldati, Primo Levi, Arturo Ambosio, Erminio Macario, Fred Buscagliene, Giuseppe Erba, Vittorio Pozzo, Giampiero Combi, Federico Tesio, Pietro Cavallero e Rosa Vercesi (anime nere), Gustavo Rol, Giulio Einaudi.

Leggendo questi nomi qualcuno si chiederà come mai sono raccolti uno accanto all’altro. Perché erano tutti torinesi o diventati tali per amore di questa Città che non esiste più.

Nessuno se ne è accorto o ha fatto finta di niente per non dover vivere il rimpianto ed assistere a quello che la nostra Città si trova oggi a rappresentare: il nulla.

Il silenzio assordante serpeggia nelle aule istituzionali del Consiglio comunale incapace di assumere posizioni adulte, il marciume lorda le poltroncine del Consiglio Regionale del Piemonte dove si stravaccano consiglieri furbi e disonesti eletti con i nostri voti ingenui e puliti.

La povera residuale buona stampa subalpina tenta di allestire il “parterre de roi” intellettuale e imprenditoriale con i nomi di giovani geni come i proprietari di una catena di gelaterie o il cioccolataio di via Cagliari ma queste persone non rappresentano altro se non una riedizione sgalfa e ridicola di chi a Torino ha fatto impresa prima di loro e loro stessi si trovano in prima pagina in questa città decadente solo perché glielo hanno concesso le finanze e le garanzie immobiliari dei loro genitori. In un mondo di ciechi un orbo è re.

E’ grottesco come le classi dirigenti che si sono susseguite negli ultimi anni abbiano saputo distruggere con metodo sadico, cretino ed autolesionista le origini della loro storia e quanto è peggio è che queste persone non hanno neppure il riguardo di onorare la memoria di chi li ha preceduti perché vivono imbevuti nella prosopopea di essere loro gli eredi naturali di tanto intelletto.

Non valgono nulla. Queste persone sono solo sciacalli ingordi che non riescono neppure ad avere a cuore il futuro dei propri figli se non riescono ad interrogarsi di fronte allo sdegno del tempo che stanno vivendo come attori in prima persona.

 

Nota; per chi volesse conoscere le storie degli uomini e delle donne che hanno onorato la propria città vada in libreria: Osvaldo Guerrieri, abruzzese di Chieti, saprà soddisfare questo desiderio di curiosità.

 

Il 27 ottobre del 1962 l'aereo che trasportava il presidente dell'ENI Enrico Mattei precipitava nel cielo di Bascapè, sopra le campagne a sud di Milano.

Il 27 ottobre di questo anno 2012 ricorrono i cinquant'anni dalla morte di un uomo che ha saputo immaginare il futuro usando l'ingegno. Un raro esempio di imprenditore che decise di regalare al suo Paese un disinteressato impegno convinto che le sue idee sarebbero state illuminanti per il futuro dell'Italia. Grazie alla sua nomina a Presidente dell'ENI lo stesso ente di stato si trasformò da istituzione improduttiva e costosa in una realtà di grande prestigio internazionale grazie alle campagne che Mattei fece per stimolare le prospezioni nella Valpadana, nel sottosuolo della quale egli era certo si trovassero importanti giacimenti petroliferi e di gas naturale.

Le Sette Sorelle, massoneria a stelle e strisce, vedendo in pericolo il monopolio del controllo energetico sull'Europa occidentale e temendo sopratutto la determinazione di quest'uomo, non tardarono ad ordirne l'eliminazione. Il sottobosco politico italiano, connivente ed interessato, non esitò a compiacere gli americani (i quali, era ben noto, finanziavano cospicuamente le campagne elettorali della Democrazia Cristiana) e lasciarono assassinare Mattei senza sapere che era il loro uomo più importante.

La sua tragica morte è rimasta coperta da un alone di mistero sino al 2005 allorquando studi accurati (resi possibili solo dal tempo che era necessario trascorresse per coprire le responsabilità dei suoi assassini) confermarono segni di esposizione ad esplosione su parte del relitto del velivolo e sull'orologio di Enrico Mattei. Caduto il segreto istruttorio oggi possiamo sostenere che Enrico Mattei è stato ucciso e con lui si è persa per sempre una grande ed unica opportunità di poter contare nel mondo dell'energia a livello internazionale.

Mattei era una persona di alto valore morale e di grandissima modestia : egli possedeva una fabbrica chimica che produceva ingrassi e saponi e viveva unicamente dai proventi di questa sua attività devolvendo in beneficenza il suo emolumento di presidente dell'ENI.

Leggere oggi del valore umano di quest'uomo pensando al marciume e alla delinquenza comune che si aggira nei corridoi dei palazzi delle più importanti istituzioni repubblicane, fa tremare. Chissà se qualcuno degli uomini che governano oggi i nostri destini troverà almeno la coscienza per commemorarlo dignitosamente.

Alberto Musy da mesi dorme sospeso nell'incoscienza in un letto d'ospedale. Il primo giorno di primavera il consigliere comunale di Torino sposato e padre di quattro figli veniva colpito da ignoti e a tutt'oggi nessuno è stato in grado di conoscere nè il movente nè il colpevole di questo fatto di sangue. La famiglia che lo attende a casa non ha ancora saputo chi è il responsabile della distruzione della loro vita.

Domenica 23 settembre 2012 alle ore 15 intervenite in piazza Castello a Torino per chiedere tutti insieme che chi sa parli e che gli organi investigativi non rallentino il ritmo delle indagini per trovare i colpevoli di questo fatto orribile. Alberto, la sua famiglia e la società civile chiedono giustizia, vogliono la verità.